Rigopiano, a 2 anni dalla tragedia l’inchiesta verso la conclusione. 25 indagati, due filoni




Allarme, soccorsi e depistaggi nel mirino della Procura


Pescara. Il 18 gennaio 2017 l’Abruzzo è nel pieno di una drammatica emergenza maltempo. Poco prima delle 17, una valanga si stacca e travolge l’Hotel Rigopiano di Farindola. Nel resort ci sono 40 persone: 29 perdono la vita, quasi tutti sul colpo. Nei giorni successivi si scava e dalle macerie, miracolosamente, vengono estratti dei superstiti. Immediatamente si apre l’inchiesta della Procura di Pescara, che darà vita a due anni di indagini. Gli inquirenti si soffermano sulla gestione dell’emergenza e indagano 40 persone.
Sotto la lente dei magistrati, Serpi e Papalia, finisce il corto circuito avvenuto tra i vari livelli istituzionali deputati a gestire l’emergenza maltempo: chiamati in causa Regione Abruzzo, Prefettura e Provincia di Pescara, Comune di Farindola. Un corto circuito che, secondo la Procura, avrebbe causato gravi ritardi nell’attivazione della macchina dei soccorsi. Le indagini dei carabinieri forestali consentono di appurare che dal resort, il giorno della tragedia, furono lanciate diverse richieste di aiuto: gli ospiti dell’hotel erano intrappolati dalla neve e chiedevano di sgomberare la strada per lasciare Rigopiano. Tra turbine fuori uso e mezzi impegnati in altre zone, però, l’hotel restò isolato fino alla mattina del 19, quando i soccorsi riuscirono a raggiungere il luogo del disastro.
Carenze ed errori caratterizzano anche la fase postvalanga: Giampiero Parete, scampato alla tragedia, lanciò subito l’allarme, ma a causa di una lunga serie di equivoci, sottovalutazioni e incomprensioni, che per diverse ore portarono a liquidare la faccenda come uno scherzo, i soccorsi si attivarono solo dopo due ore e mezza l’accaduto. L’inchiesta si allarga, tirando in ballo anche la mancata realizzazione della Carta prevenzione valanghe da parte della Regione e i permessi per la ristrutturazione del resort. Il 26 novembre scorso, a meno di due anni dalla tragedia, la Procura di Pescara chiude l’inchiesta, compiendo una corposa scrematura: gli indagati, accusati a vario titolo di disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione d’atti d’ufficio e abuso in atti d’ufficio, scendono a 25.
Tra le figure più in vista l’ex prefetto Francesco Provolo, il presidente della Provincia Antonio Di Marco, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, il gestore dell’albergo Bruno Di Tommaso. Poi un elenco di dirigenti, funzionari e tecnici. Esce di scena il livello politico con la richiesta di archiviazione per gli ex governatori e assessori alla Protezione civile. Poche settimane fa il colpo di scena: viene aperta un’inchiesta bis, a carico di Provolo e di altri sei esponenti della Prefettura, con l’accusa di depistaggio e frode processuale. Si scopre che dal resort, la mattina del 18, partì una telefonata che arrivò in Prefettura. L’ipotesi della Procura, che sta stringendo i tempi per chiudere e andare a processo, è che quella telefonata sia stata deliberatamente occultata, anche distruggendo degli appunti che ne certificavano l’esistenza.

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