Sisma L'Aquila: è scontro legale sulla restituzione di 2,5 milioni di risarcimenti



Melilla: «servono ragionevolezza e umanità»



L'AQUILA. Il governo alla fine chiede indietro i risarcimenti alle famiglie delle vittime del terremoto di L'Aquila del 2009 e scoppia il caso.
Il fatto è semplice: in primo grado il processo aveva condannato i tecnici e lo Stato a risarcire le vittime. Poi gli altri due gradi di giudizio hanno ribaltato la sentenza e eliminato le richieste di risarcimento. Adesso si chiede la restituzione di quelle somme.
Indignati i familiari ma anche una parte della politica nazionale. Gianni Melilla ha presentato una interrogazione parlamentare e contesta: «la Presidenza del Consiglio dei Ministri é andata subito ad aggredire le parti civili intimando la restituzione dei soldi elargiti. Anche con atti di messa in mora e intimazione di pagamenti immediati. La sentenza di appello non ha revocato le provvisionali. Sulle responsabilità della commissione Grandi Rischi ci sono inoltre cause civili in corso».
Melilla chiede al governo se non ritenga doveroso sospendere ai familiari delle vittime le richieste di restituzione delle somme versate "...oltre gli interessi calcolati dal dì del percepimento...", in attesa della definizione del contenzioso civile, per evidenti ragioni istituzionali, di ragionevolezza e anche di umanità nei confronti di persone duramente colpite dalla morte dei loro cari».
Tutto è nato nel marzo 2015 la Protezione civile nazionale richiese ai familiari di alcune vittime del terremoto che devastò L'Aquila il 6 aprile 2009, costituitisi parte civile, la restituzione di parte delle somme risarcitorie "provvisionali" decise dal giudice con la condanna in primo grado dei componenti della Commissione Grandi rischi.
Era la conseguenza del verdetto in Appello, datato 10 novembre 2014, che riformò la sentenza del 22 ottobre 2012 cancellando la condanna per sei esperti della Grandi Rischi e riducendo la pena per De Bernardinis, vice capo dipartimento Protezione civile all'epoca del sisma.
Verdetto poi confermato in Cassazione il 20 novembre 2015.
«Si invita e si diffida - recitava l'atto - alla restituzione delle somme percepite e a corrispondere senza indugio, entro 30 giorni dal ricevimento della presente».
I legali difensori delle famiglie, negli anni, hanno risposto con analoga istanza, chiedendo il risarcimento totale del danno, visto che la provvisionale è al massimo del 40%, con la minaccia di agire civilmente qualora lo Stato non ottemperasse.
Dal canto suo, la Presidenza del Consiglio dei ministri, vista la mancata risposta alla diffida, che aveva valore di messa in mora, e a successivi solleciti, si è rivolta al Tribunale dell'Aquila per recuperare le somme. Ad alcuni familiari sono quindi arrivate in questi giorni citazioni in giudizio per le quali sono già state fissate le udienze.
Complessivamente sono circa 2,5 i milioni richiesti alle famiglie che avevano incassato la provvisionale.
Alle reazioni polemiche scaturite il 28 marzo 2015 con la richiesta alle famiglie seguì subito una nota della Protezione civile: «Lo Stato non sta battendo cassa, ma semplicemente applicando la sentenza rispettando i tempi indicati».
E l'allora capo Dipartimento Franco Gabrielli - che fu prefetto dell'Aquila durante l'emergenza sisma nel 2009 - commentò, lo stesso 28 marzo: «Ogni azione è stata intrapresa sulla base del conforme parere dell'Avvocatura Generale dello Stato, alla quale dubito si possano insegnare le argomentazioni giuridiche». I solleciti della Presidenza del Consiglio successivi alla prima messa in mora del marzo 2015 sono stati inviati anche di recente attraverso la Protezione Civile ora guidata da Fabrizio Curcio.


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